Graffe napoletane: origini e curiosità
di Annina D'Ambrosio
Una bella graffa, fritta, grande, rotonda, soffice e colma di zucchero è l’emblema di una grande colazione napoletana, consumata magari in uno dei bar dei vicoli partenopei con un bel caffè per cominciare al meglio la giornata.
Le graffe napoletane sono uno dei dolci più apprezzati della cucina nostrana, uno dei simboli dello street food napoletano, e di solito si preparano per la festa di Carnevale, anche se ogni occasione è buona per preparare questa prelibatezza.
Le graffe napoletane sono molto famose, ma sembrerebbe che le radici di questo dolce non siano campane, bensì tedesche.
Infatti, il termine graffa deriverebbe da “krapfen“, risalente alla fine del XVII secolo circa e, secondo la leggenda, è legato all’invenzione di una pasticciera viennese chiamata “Cecilia Krapf“. E’ un famoso dolce di origine austro-tedesca, fritto nello strutto o nell’olio bollente e poi farcito con della marmellata o della crema bavarese.
Il termine, però, potrebbe anche risalire all’antico tedesco “krafo” che significa “uncino” (poi divenuto nella lingua gotica krappa e graffa nei dialetti napoletano e siciliano), probabilmente utilizzato per indicare l’aspetto che la frittella di pasta dolce assumeva in origine, cioè allungata piuttosto che tondeggiante.
A testimoniare il legame con la cucina tedesca, la ricetta originale del dolce prevede l’uso di ingredienti simili a quelli della ricetta italiana come farina di grano 00, zucchero, scorza di limone e latte.
Questo gustoso dolce è giunto in Italia grazie alla dominazione austriaca della penisola, nel ‘700, nella sua versione originaria per poi assumere la caratteristica forma tonda che tanto conosciamo e apprezziamo. Ancora oggi, ad esempio, nelle zone italiane di lingua tedesca come il Sudtirolo-Alto Adige, questi dolci sono chiamati “Faschingkrapfen“, cioè “Krapfen di Carnevale“, evidenziando la relazione con la festa di Carnevale, così come accade per le graffe napoletane.
L’origine della graffa come la conosciamo oggi, con l’utilizzo delle patate durante la preparazione, viene generalmente fatta risalire all’incirca al 1830, poco dopo la nascita delle altrettanto deliziose e celebri zeppole di San Giuseppe, dolce tipico della festa del papà.
Dunque, la graffa classica napoletana è famosa in tutto il mondo, è deliziosa, non poco calorica ma senza dubbio un peccato di gola da concedersi! Farina 00, farina manitoba, patate, latte intero, uova, burro, zucchero, scorza di limone e olio di arachidi per friggere: questo il mix di ingredienti secondo la ricetta classica.
Nonostante il legame con la cucina tedesca, è Napoli la città riconosciuta come padrona della graffa, la terra che ha divulgato e reso celebre questo dolce. Nel corso degli anni, infatti, l’inventiva e la creatività partenopea si è fatta sentire (e gustare!) sempre più. Basti pensare alle tante grafferie che si trovano oggi sul territorio e alle tante varietà di graffe proposte: piccole, grandi, semplici, ricoperte di Nutella, cioccolato bianco, cereali o addirittura a forma di cono, arricchito con due o tre gusti di gelato e cascate di panna e Nutella, come proposto dal famoso Chalet Ciro a Mergellina nella sua ultima invenzione.
Di questo gustoso impasto fritto e ricoperto di zucchero se ne trovano anche altre versioni: in Sicilia, ad esempio, le graffe sono spesso consumate con ricotta dolce e gocce di cioccolato e celebre è anche il cosiddetto “bombolone” o “bomba“, molto simile al Krapfen tedesco; non presenta il classico buco della ciambella, ma è tondo e gonfio, con un goloso ripieno di crema pasticcera al posto della marmellata.
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