Il chiostro di San Gregorio Armeno
di Gaetano Mango
I chiostri che adornano la città di Napoli sono senz’altro il fiore all’occhiello del panorama artistico della città. Tra questi, di particolare pregio, è il chiostro di San Gregorio Armeno, che fa parte dell’omonimo complesso monastico.
Le origini di questa vera e propria opera d’arte si perdono nella storia. Alcune fonti parlano di un chiostro già esistente prima dell’XI secolo, che faceva da cortile alle tre chiesette oggi dedicate al Santo.
Inizialmente il chiostro, delimitato da undici archi per dodici, era stato concepito per fare da giardino alla chiesa e per essere parzialmente adibito ad orto. La struttura attuale, invece, è figlia delle varie modifiche che seguirono al Concilio di Trento. Una di queste riguardò la chiesa attigua, che sarebbe dovuta essere esterna al convento. Quella più importante, invece, coinvolse proprio il giardino che all’epoca rappresentava l’unico spazio esterno per le suore di clausura, al fine di renderlo il più accogliente possibile.
Fu sotto la Madre Badessa Lucrezia Caracciolo che si ebbero gli aggiustamenti più significativi. Le opere vennero affidate a Giovanni Vincenzo della Monica che, sotto consiglio della donna, riprese il disegno del chiostro dei Santi Marcellino e Festo, che aveva sia una valenza estetica che un’utilità funzionale. Il chiostro infatti permetteva alle suore di dominare con lo sguardo sia il paesaggio urbano che quello naturale, dando un senso generale di benessere e rendendo meno faticosa la clausura. Furono ben cinque i punti di osservazione che Della Monica riuscì a ricavare.
Il terremoto del 1930 provocò ingenti danni a tutta la struttura. I successivi restauri furono alquanto deludenti e, anzi, fecero scempio di una bellissima scala settecentesca che fu abbattuta per far posto ai bagni dell’orfanatrofio, a cui parte della struttura fu dedicata.
L’opera più bella del chiostro è, senza dubbio, la splendida fontana centrale la cui realizzazione rimane ancora un mistero. Si sa che fu commissionata dalla Badessa Violante Pignatelli, che ordinò che venisse adornata con due statue raffiguranti Cristo e la Samaritana. A queste si aggiunsero figure di delfini, maschere ecc. in puro stile barocco.
Il chiostro si divide in più ambienti tra i quali spiccano la farmacia e il forno, le cui strutture fanno capire bene come vivessero le suore di clausura dell’epoca. La caratteristica più particolare del giardino tuttavia, è rappresentata dalle reti idriche: una vera e propria perla dell’ingegneria idraulica dell’epoca. Il chiostro, infatti, è completamente indipendente. I canali, che facevano sopraggiungere acqua alle cisterne, furono posizionati su due archi sollevati sopra l’orto mentre il pozzo che raccoglieva le acque piovane fu, invece, posizionato lungo l’asse orientale.
Dal chiostro si accede a due cappelle. Di queste la più importante è senz’altro quella dell’Idria, che rappresenta l’unico reperto del convento medievale e in cui sono presenti ben diciotto dipinti di Paolo De Matteis sulla Vita di Maria.
Gli ultimi lavori di restauro, finanziati dalla Repubblica d’Armenia, risalgono allo scorso Aprile, quando il presidente armeno Serzh Sargsyan e il sindaco di Napoli Luigi de Magistris hanno “restituito” ai cittadini e ai turisti di Napoli uno dei capolavori architettonici della città, nel giorno dell’anniversario dei 100 anni dal genocidio del popolo armeno per mano dei turchi durante la Seconda Guerra Mondiale.
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