Il Cristo Velato tra arte e magia
di Sara De rosa
C’è chi dice che l’arte non vada compresa ma sentita e chi, come il grande esteta Oscar Wilde, ritiene che apprezzare l’arte razionalmente equivalga a non apprezzarla affatto.
In effetti il rapporto con l’arte è qualcosa di estremamente personale, che dipende dalle percezione dell’osservatore e spesso dagli stati d’animo individuali. Eppure c’è sempre un’eccezione alla regola.
Nel nostro caso si tratta di un’opera che suscita un sentimento comune: la meraviglia.
Parliamo del Cristo Velato, una scultura marmorea dell’artista napoletano Giuseppe Sanmartino, conservata nella Cappella Sansevero di Napoli.
La scultura, realizzata nel 1753, è considerata un capolavoro scultoreo mondiale, tanto da annoverare tra i suoi estimatori il grande Antonio Canova, autore della celeberrima Amore e Psiche.
Non tutti sanno, però, che il Cristo velato ha avuto una genesi piuttosto travagliata: l’autore, infatti, non doveva essere il Sanmartino ma lo scultore Antonio Corradini, deceduto poco dopo aver realizzato solo un bozzetto in terracotta, oggi conservato al Museo Nazionale di San Martino. Fu solo allora che il principe committente, Raimondo di Sangro, si rivolse all’artista napoletano, affidandogli l’incarico di produrre “una statua di marmo scolpita a grandezza naturale, rappresentante Nostro Signore Gesù Cristo morto, coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco della statua “.
Non era certo un compito facile! Eppure l’artista non deluse le aspettative, tanto che il principe gli corrispose ben cinquanta ducati, dandogli perfino l’appellativo di “Magnifico”. L’artista, infatti, era riuscito a trasmettere la sofferenza che il Cristo aveva provato al momento della Crocifissione attraverso la composizione del velo, così ben aderente al viso e al corpo da lasciar intravedere i segni del martirio subito.
Al di là dell’indubbia bellezza dell’opera, la fama del Cristo Velato è dovuta alla cosiddetta “leggenda del velo”, legata a sua volta alla particolare figura di Raimondo di Sangro.
Il principe era, infatti, un famoso alchimista, oltre che un audace sperimentatore, tanto che la sua reputazione ha oscurato per oltre due secoli la maestria dello scultore, inducendo turisti, viaggiatori e persino studiosi a credere che la trasparenza del velo fosse dovuta ad un processo alchemico di marmorizzazione, che avrebbe compiuto egli stesso.
In realtà un’attenta analisi dell’opera e lo studio dei documenti correlati confermano che la statua è interamente in marmo e ricavata da un unico blocco di pietra, così come aveva originariamente disposto il principe.
Il Cristo Velato, dunque, non è che una “semplice” opera d’arte barocca, frutto del genio e dell’ispirazione del suo autore. Eppure la leggenda del velo resiste al tempo e alle numerose prove addottele contro, forse perché, proprio come diceva Oscar Wilde, l’arte non si apprezza con la mente.
Del resto tutti noi siamo portati a cercare la magia nei posti più improbabili, a vedere il miracolo della Natura laddove esiste il genio dell’uomo.
Ma non è forse anche questa magia? La capacità dell’ uomo di suscitare stupore e meraviglia, di continuare ad alimentare dubbi a distanza di secoli, tanto da rendere ancora attuale il commento del principe sul velo: “fatto con tanta arte da lasciare stupiti i più abili osservatori”.
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