La Pasqua napoletana: mangia, prega, ama
di Sara De Rosa
Conoscete il detto “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”?
Probabilmente vale in tutto il mondo cristiano tranne che a Napoli. Sì, perché a Napoli – come ogni festa – anche Pasqua è sinonimo di sapori caserecci: nessuno rinuncerebbe mai al casatiello di “mammà”, nessuno rinuncerebbe mai al canonico litigio con la nonna che, se provi ad assaggiare prima del tempo, ti ammonisce con un severo “s’adda sciogliere ‘a Gloria”. E la Gloria finalmente si scioglie a mezzogiorno del Sabato Santo, ora in cui avviene la Resurrezione del Cristo: dal mezzogiorno di Sabato alla mezzanotte del Lunedì dell’Angelo, giorno della classica “scampagnata”, alzarsi da tavola è davvero un’impresa!
E forse è proprio questo il segreto delle nostre mamme per tenerci in famiglia anche a Pasqua.
Come ogni festa che si rispetti, anche Pasqua ha i suoi “classici” culinari, quelle cose che nei forni e sulle tavole non possono proprio mancare: il casatiello e la pastiera.
Il casatiello
Le origini di questa meraviglia culinaria sono antichissime: diffuso a partire dal 1600, in realtà ce n’era traccia già nell’epoca greco-romana. Nella letteratura greca, infatti, ci sono diverse testimonianze di pani “conditi” con vari ingredienti, innanzitutto il “caseus” ossia il formaggio. E proprio dall’antico “caseus”, poi in napoletano “caso”, il casatiello prende il nome di “piccolo pane al formaggio”. Dalle feste primaverili pagane in onore di Demetra (Cerere per i romani) il casatiello è arrivato fino alla Pasqua cristiana. La superficie, a forma di ciambella, simboleggia la corona di Cristo ed è impreziosita dalla presenza di uova sode intere, da sempre simbolo per eccellenza della Pasqua. Esse, non a caso, sono racchiuse tra due striscioline di pasta lievitata incrociate tra loro a formare una croce, altro tipico emblema pasquale.
Nel 1600 il casatiello, insieme alla Pastiera Napoletana, fa la sua comparsa in una citazione di Giambattista Basile nella favola “La Gatta di Cenerentola” : “E, venuto lo juorno destenato, oh bene mio: che mazzecatorio e che bazzara che se facette! Da dove vennero tante pastiere e casatielle?”.
Come per ogni piatto tradizionale, ogni famiglia ha la propria ricetta, tramandatasi di generazione in generazione e, anche se sembrano tutte uguali, in realtà si differenziano per piccole sfumature di gusto: da quello più “delicato” a quello più marcato grazie alla presenza dei “ciccioli” (grassi del maiale).
Addirittura nelle zone di Caserta ne esiste una versione dolce, la cosiddetta “pigna”, fatta con un impasto di uova, zucchero e strutto, il tutto ricoperto da una glassa decorata con i “diavulilli”, piccoli confetti colorati.
Negli ultimi anni, poi, impazza la ricetta vegetariana, con la margarina al posto dello strutto, uova bio e una gran varietà di formaggi (volendo, anche salumi vegetariani), per un risultato veramente strabiliante e da non credere!
La pastiera
Tra i dolci più iconici della Pasqua vi è senza dubbio la Pastiera.
Le origini sono avvolte nel mistero: secondo un’antica leggenda il primo pasticciere della pastiera fu il mare!
Pare, infatti, che le mogli dei pescatori erano solite lasciare sulla spiaggia, di notte, delle ceste con ricotta, frutta candita, grano, uova e fiori d’arancio come offerte per il mare, affinchè questo lasciasse tornare i pescatori sani e salvi sulla terraferma. Una mattina, ritornate in spiaggia per il ritorno dei mariti, nelle loro ceste non c’erano più singoli ingredienti sparsi ma una vera e propria torta, impastata dai flutti che durante la notte avrebbero mischiato i vari ingredienti.
Un’altra storia nota è legata alla figura dell’austera Maria Teresa d’Austria: si dice che la Regina sorrise per la prima volta in pubblico proprio grazie alla pastiera, assaggiata per l’insistenza del Re Ferdinando II di Borbone. Sull’episodio c’è addirittura una filastrocca in rima baciata d’autore ignoto:
A Napule regnava Ferdinando
Ca passava e’ jurnate zompettiando;
Mentr’ invece a’ mugliera, ‘Onna Teresa,
Steva sempe arraggiata. A’ faccia appesa
O’ musso luongo, nun redeva maje,
Comm’avess passate tanta guaje.
Nù bellu juorno Amelia, a’ cammeriera
Le dicette: “Maestà, chest’è a’ Pastiera.
Piace e’ femmene, all’uommene e e’creature:
Uova, ricotta, grano, e acqua re ciure,
‘Mpastata insieme o’ zucchero e a’ farina
A può purtà nnanz o’Rre: e pur’ a Rigina”.
Maria Teresa facett a’ faccia brutta:
Mastecanno, riceva: “E’ o’Paraviso!”
E le scappava pure o’ pizz’a riso.
Allora o’ Rre dicette: “E che marina!
Pe fa ridere a tte, ce vò a Pastiera?
Moglie mia, vien’accà, damme n’abbraccio!
Chistu dolce te piace? E mò c’o saccio
Ordino al cuoco che, a partir d’adesso,
Stà Pastiera la faccia un pò più spesso.
Nun solo a Pasca, che altrimenti è un danno;
pe te fà ridere adda passà n’at’ anno!”
Quanto alla tradizione, la pastiera ha sempre dominato in questo periodo dell’anno attraverso la simbologia dei suoi ingredienti: la ricotta addolcita è la trasfigurazione delle offerte votive di latte e miele, tipiche delle prime cerimonie cristiane, il grano simbolo di fecondità e ricchezza, le uova simbolo di nuova vita e, infine, i fiori d’arancio che annunciano l’arrivo della Primavera.
Anche della pastiera, come del casatiello, esistono più varianti: c’è chi ai fiori d’arancio aggiunge una sfumatura alcolica con il limoncello, c’è chi preferisce il grano passato a quello intero, addirittura chi utilizza il riso nella preparazione. Quel che è certo è che sempre di pastiera si tratta. I pochi ingredienti di base, infatti, conferiscono tutto il sapore e il gusto tipici della tradizione pasticcera napoletana.
Insomma, perché spostarsi da casa quando le nostre mamme e nonne ci preparano queste prelibatezze?
Fare festa significa anche stare in famiglia e se la famiglia è quella napoletana, c’è più gusto!
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