Lago Lucrino: la leggenda del delfino Simone e del suo piccolo amico
di Simona Vitagliano
Le leggende che, nei secoli, si sono narrate sulle infinite bellezze dei territori puteolani sono così tante da sfuggire, talvolta, alle orecchie e alla memoria dei bambini.
Bambini che, una volta cresciuti, non potranno più tramandarle in avanti nei secoli, lasciando nell’oblio delle storie che, invece, varrebbe la pena, sempre, ascoltare e raccontare.
Una di queste, forse poco popolare, è contenuta tra gli scritti di Plinio Il Vecchio, nella sua Historia Naturalis.
Nel sito Progettovidio.it è possibile ritrovare la versione originaria con traduzione:
Plinio il Vecchio, Storia Naturale, IX 25
“Il fanciullo e il delfino”
Divo Augusto principe Lucrinum lacum invectus pauperis cuiusdam puerum ex Baiano Puteolos in ludum litterarium itantem, cum meridiano immorans appellatum eum simonis nomine saepius fragmentis panis, quem ob iter ferebat, adlexisset, miro amore dilexit. pigeret referre, ni res Maecenatis et Fabiani et Flavii Alfii multorumque esset litteris mandata. quocumque diei tempore inclamatus a puero, quamvis occultus atque abditus, ex imo advolabat pastusque e manu praebebat ascensuro dorsum, pinnae aculeos velut vagina condens, receptumque Puteolos per magnum aequor in ludum ferebat simili modo revehens pluribus annis, donec morbo extincto puero subinde ad consuetum locum ventitans tristis et maerenti similis ipse quoque, quod nemo dubitaret, desiderio expiravit.
“Durante il principato del divino Augusto un delfino penetrò nel Lago Lucrino. Un bambino, figlio di un pover’uomo, che era solito andare dalla zona di Baia a Pozzuoli per frequentarvi la scuola, fermandosi in quel luogo a mezzogiorno, aveva preso ad attirarlo a sè, chiamandolo col nome di Simone e dandogli da mangiare i pezzetti di pane che portava per merenda. Il delfino si affezionò straordinariamente al fanciullo. In qualunque momento del giorno, per quanto celato dalle profondità del lago, appena il bambino lo chiamava, il delfino si precipitava da lui e, dopo aver ricevuto cibo dalle sue mani, gli offriva il dorso perchè vi salisse. Per parecchi anni lo portò così a scuola, a Pozzuoli, attraverso la grande distesa del lago, riconducendolo poi allo stesso modo a casa. E quando un giorno il bambino morì per malattia, il delfino ripetutamente tornò al luogo consueto, triste e del tutto simile a una persona afflitta; e alla fine anche lui, per quanto incredibile possa apparire, morì dal dispiacere”.
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