“Mannaggia a Bubbà” e altri modi di dire… in estinzione
di Saverio Pizza
A volte capita che, parlando con le persone, scopri che un pezzo del tuo “vecchio” mondo è andato e se ne sta perdendo definitivamente la memoria.
Prendete ad esempio il nostro modo di parlare: è innegabile che molti modi di dire, molte regole di linguaggio ed espressioni tipiche vadano scomparendo, senza arrivare in nessun modo nel bagaglio culturale dei giovani. Questo, beninteso, non succede solo per il napoletano ma per qualsiasi altra lingua.
Alcune espressioni fanno venire veramente un sorriso a ricordarle oggi e, soprattutto, denotano, comunque, un livello di cultura ben più alto di quello odierno.
Sapevate, ad esempio, che quando una persona si presentava in maniera sciatta, disordinata o trascurata è probabile che si sentisse dire “me par’ nu gianvalagià”?
Si trattava, per intenderci, di un chiaro riferimento all’ex galeotto Jean Valjean, personaggio immaginario protagonista del romanzo I Miserabili di Victor Hugo.
Figuratevi oggi chi si sognerebbe di dire una cosa del genere!
O ancora, quando qualcuno voleva fare il misterioso, che “diceva e non diceva” , si usava l’espressione “me paren’ e misteri e’ Parigi”, anche qui c’era il richiamo ad un romanzo di appendice del 1800, dal titolo ovvio, I misteri di Parigi.
Ma tra le tante espressioni che le nuove generazioni poco conoscono c’è proprio quella che, oggi, interessa a noi: “mannaggia a Bubbà” oppure “mannaggia Bubbà“.
Cosa rappresenta questa esclamazione e qual è il suo significato?
Partiamo da “Bubbà”.
Avrete notato che, quando c’è un furto e/o una rapina al Nord un po’ diversa dal solito, scatta la fatidica battuta: “sarà stato qualche napoletano”… in verità, anche sui giornali quando c’è un avvenimento delittuoso, e l’autore è un nostro compaesano, troviamo sempre specificato, ad esempio: “operaio napoletano picchia moglie e bambini”,”rapinatore napoletano” , etc etc. A memoria, non ricordo mai di aver letto “operaio brianzolo”,”rapinatore senese” e via dicendo. Diciamo che siamo diventati un aggettivo (negativo), per cui il napoletano è il capro espiatorio perfetto quando c’è da accusare qualcuno.
Un po’ come Malaussene, l’eroe dei romanzi di Daniel Pennac, che di mestiere fa proprio il capro espiatorio in un Grande Magazzino.
Bene, per Bubbà è la stessa cosa: sembra infatti che si tratti di un personaggio che si muoveva nel sottobosco affaristico della Napoli dell’ 800. Era, insomma, un traffichino, un piccolo faccendiere che si trovava implicato in ogni affaruccio possibile e immaginabile per cui, in caso di malaparata , la cosa più semplice era prendersela col signore in questione (visto che sicuramente si poteva considerare coinvolto nella faccenda). Il povero Bubbà era, insomma, il perfetto capro espiatorio e l’espressione altro non è che: “male ne abbia Bubbà”… insomma, se qualcosa vi va storto invece di prendervela con i soliti santi, sangue e miseria… ricordatevi del buon Bubbà !
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