Napoli e il fiume fantasma: la storia del Sebeto
Di Nunzia Caso
Una delle leggende più antiche legate alla nostra Napoli è quella che racconta di un fiume “fantasma”: il Sebeto.
Ne hanno scritto in merito penne illustri, lo hanno cercato invano poeti e scrittori, ma questo fiume a tutt’oggi è un mistero.
La storia dice che a Napoli, nel XIV secolo, c’era un corso d’acqua che scendeva dal Monte Somma attraversando Casalnuovo, Volla e Ponticelli. Arrivato a Napoli si biforcava in due direzioni: al ponte della Maddalena e alla collina di Pizzofalcone.
Verso la fine del Medioevo, però, il fiume cominciò a ridimensionarsi a causa dello sviluppo urbanistico della città e quando, nel 1340, Petrarca si recò a Napoli alla ricerca del Sebeto trovò solo un misero rigagnolo tra i palazzi.
Ma allora dove è andato a finire questo fiume? Si dice che la città lo abbia intrappolato nel sottosuolo, insieme a chissà quali tesori, e pare che ogni tanto con l’allagamento di alcune zone, o addirittura abitazioni, il Sebeto venga fuori cercando di “liberarsi”.
A questo punto viene da pensare che forse questa storia sia solo una leggenda come quella della Sirena Partenope o quella della Bella ‘Mbriana (della quale parleremo presto n.d.r.), ma non è così.
I segni che il Sebeto sia realmente esistito ci sono e come.
Abbiamo l’epigrafe in marmo di età imperiale rinvenuta scavando nei pressi di Porta del Mercato ad esempio, che rappresenta un tempietto in onore al Sebeto con la scritta: “P. Mevius Eufychus aedicolam restituit Sebetho”, a testimonianza del fatto che P. Mevio Eutico consacrò un sacello al leggendario fiume.
Un’altra prova si trova a Largo Sermoneta dove una fontana, che venne costruita nel 1635 dall’architetto Cosimo Fanzago per volere del Vicerè Fonseca all’incrocio tra via Santa Lucia e via Cesario Console e successivamente trasferita dove la vediamo ora, ricorda il fiume scomparso.
Se qualcuno fosse ancora scettico al riguardo si possono elencare anche i nomi degli scrittori che lo hanno decantato: Giunio Columella e Papinio Stazio furono forse i primi, ma anche Virgilio nel VII libro dell’Eneide, che lo appellò “Sebthide Ninpha”. Nell’età umanistica poi Boccaccio, Pontano e Sannazzaro battezzarono il fiume, che in origine era chiamato Rubeolo, con il nome di “Sebeto”.
In realtà anche su questa tesi ci sono pareri controversi perchè pare che il Rubeolo fosse un altro fiume ancora, nella mischia dei corsi d’acqua e rigagnoli vari di cui era piena Napoli in antichità. In un interessantissimo articolo di Carlo Missaglia comparso sul periodico online L’isola si cerca di fare luce anche su questo mistero e su questo probabile errore di interpretazione.
Nulla di certo insomma, ma c’è anche chi dice di aver visto il Sebeto nei pressi di Gianturco negli anni ’70, subito dopo “sotterrato” per via del colera. Addirittura qualcuno asserisce che il fiume scorresse ancora fino alla costruzione delle isole del centro direzionale e che, proprio per dar vita a queste ultime, sia stato deviato nel sottosuolo.
L’acqua è dura da “intrappolare” si sa, ma magari il mistero delle case che si allagano al centro direzionale potrebbe essere prova del fatto che il fiume scorra ancora sotto i nostri piedi, cercando di “liberarsi” per scorrere libero alla luce del nostro bel sole per poi tuffarsi nel nostro meraviglioso mare.
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