Palazzo San Severo, lì dove alberga il fantasma di Maria d’Avalos
Palazzo San Severo, portone. Fonte: panoramio.com

Palazzo San Severo, lì dove alberga il fantasma di Maria d’Avalos

di Gaetano Mango
Palazzo San Severo Fonte: webalice.it

Palazzo San Severo
Fonte: webalice.it

Napoli, spesso e volentieri, affonda le sue radici nel mistero e nell’esoterismo.

Camminando lungo le vie della città, o ammirando la storia dei palazzi seicenteschi che l’adornano, si può quasi sempre respirare l’aria di leggenda e magia che aleggia dietro ogni porta, in ogni vicolo, dentro ogni chiesa del centro storico.

Tra questi un posto di rilievo è occupato senz’altro dal Palazzo San Severo, uno dei musei più importanti di Napoli, che immerge le sue fondamenta nelle vicinanze di Piazza San Domenico Maggiore.

Palazzo San Severo Fonte: ifagiolini.com

Palazzo San Severo
Fonte: ifagiolini.com

L’edificio fu costruito nel XVI secolo per volontà del Duca di Torremaggiore Paolo di Sangro, come residenza della casata. Accanto al palazzo venne edificata anche la chiesa di Santa Maria della Pietà, utilizzata come luogo di sepoltura della famiglia e denominata poi Cappella San Severo. Dopo la morte di Paolo, il secondo principe di San Severo, Paolo de Sangro, effettuò alcuni accorgimenti architettonici che riguardarono soprattutto la facciata. Ma fu con il settimo Principe di San Severo, Raimondo di Sangro, che il palazzo raggiunse l’apice della sua magnificenza. Raimondo era una mente eccelsa, un uomo eclettico, un inventore, un esoterista e un massone. Rinnovò completamente la cappella di famiglia trasformandola, oltre che in un vero e proprio tempio massonico, in un laboratorio dove conduceva i suoi esperimenti. Il principe di San Severo ideò personalmente l’apparato settecentesco della cappella ingaggiando artisti di fama internazionale e arrivando addirittura a contrarre debiti per completare l’opera.

Il Palazzo era collegato alla Cappella da un passaggio a ponte che però crollò nel 1889.

Il portale è del 1621, ad opera di Vincenzo Finelli (progetto di Bartolomeo Picchiatti) ed è sormontato dallo stemma della famiglia di Sangro.

Palazzo San Severo, portone. Fonte: panoramio.com

Palazzo San Severo, portone.
Fonte: panoramio.com

Questo palazzo è stato il luogo di una delle pagine più affascinanti della storia di Napoli.

Nel Maggio del 1586, nella Chiesa di San Domenico Maggiore, si celebrarono le nozze tra Principe Carlo Gesualdo da Venosa e sua cugina Maria d’Avalos, una donna bellissima e molto colta che si ritrovò in questa unione per non disperdere il patrimonio di famiglia. Dopo la nascita del primogenito, tuttavia, Carlo si allontanò sempre di più dalla moglie per dedicarsi alla composizione di liriche: era infatti un eccelso compositore di opere polifoniche e musica sacra. L’allontanamento del marito spinse Maria tra le braccia di un nobile conosciuto ad una festa di corte, Fabrizio Carafa Duca d’Andria. Con un escamotage però, Carlo scoprì l’adulterio, sorprendendo i due amanti nel letto nuziale. Mosso dalla rabbia e dalla vendetta li pugnalò a morte. Il giorno dopo, per sottolineare ancor di più l’orribile gesto, adagiò i corpi nudi dei due innamorati all’ingresso del palazzo prima di lasciare Napoli per sempre.

Ed è a questo punto che la storia lascia il passo alla leggenda.

Si racconta infatti che tutte le notti, a partire da quella dell’omicidio, coloro che abitano accanto al palazzo possano udire chiaramente le urla di Maria; inoltre la diceria vorrebbe che chi dimori in quelle stanze sia maledetto per sette generazioni.

Nel 1889 un’ala del castello crollò portando alla luce del sole la zona dove sorgeva la stanza che aveva fatto da palcoscenico all’efferato delitto. Da quel giorno si narra che, tra l’obelisco di San Domenico Maggiore e il portale del Palazzo di Sangro, si aggirerebbe una figura femminile eterea, dai capelli mossi da una brezza suerreale e vestita con abiti succinti. Alcuni raccontano che si tratterebbe proprio della bellissima quanto sfortunata Maria d’Avalos, ancora in cerca del suo amante perduto. La donna apparirebbe nel buio della piazza durante la notte e non farebbe altro che urlare un pianto strozzato nel suo stesso eterno dolore. Un grido muto che darebbe i brividi a coloro che hanno la sventura di ascoltarlo.

Una storia d’amore finita male che è diventata parte della cultura esoterica di Napoli e che ancora oggi attira la curiosità dei cittadini e dei turisti di tutto il mondo: nelle notti più buie non è insolito vederli ai bordi della piazza nella speranza di udire il grido d’amore della sventurata Maria, quasi a voler rendere omaggio al suo eterno dolore.

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