Raimondo di Sangro: il principe leggendario
di Sara De Rosa
“Una sola menzogna distrugge la riputazione d’un Uomo onesto: essa lo rende sospetto di falsità anche allorché egli dice la verità.”
Queste le parole di Raimondo di Sangro nella sua Lettera Apologetica, un libro che nel lontano 1751 destò meraviglia e sconcerto tanto per l’eccezionalità topografica quanto per il rivoluzionario contenuto, che affrontava temi come la necessità del libero pensiero, l’ostilità e l’ingerenza della Chiesa e l’introduzione del Tribunale dell’Inquisizione nel Regno di Napoli.
La citazione ci viene in aiuto per scoprire la figura di un uomo a cui l’arte napoletana e, più in generale, la cultura italiana devono tanto: il VII Principe di Sansevero, Gran Maestro della Massoneria napoletana, Accademico della Crusca, conosciuto dai più come “una specie di stregone, un alchimista diabolico, un castrafanciulli senza Dio che nessun potere, neanche quello del re, riusciva a controllare”.
Alla luce di questa descrizione acquistano un senso le parole del Di Sangro, che certamente aveva cognizione della sua fama presso il popolo.
Che si parli di lui come un grande iniziato o come un principe maledetto, quel che è certo è che Raimondo di Sangro alimentò un vero e proprio mito intorno alla sua persona, destinato a durare nei secoli tanto che – ancora oggi – a Napoli, quando lo sentono nominare, c’è chi con un leggero imbarazzo si fa il segno della croce.
Eppure, come spesso accade nei confronti di personaggi noti, basta scavare un po’ sotto la superficie del pregiudizio per trovarsi di fronte ad una realtà ben diversa.
Il principe di Sansevero fu prima di tutto un originale esponente del primo Illuminismo europeo, un prolifico inventore e un intraprendente mecenate. Sotto quest’ultimo profilo, basta visitare la Cappella Sansevero per cogliere il messaggio storico-artistico, spirituale e filosofico lasciatoci in eredità dal Principe; non a caso a lui si deve quella meraviglia scultorea nota come Cristo Velato.
Ma il fascino della figura del Di Sangro è legato anche alla sua vicenda personale: il suo biografo Giangiuseppe Origlia, autore dell’Istoria dello Studio di Napoli, racconta di un’infanzia negata, gravata dal peso della morte della madre e dei fratelli, dal rifiuto del padre di occuparsi di lui e dalle responsabilità che gli derivarono dall’aver ereditato a soli sedici anni il titolo di Principe di Sansevero. E, come se la sua intera esistenza non fosse già un cliché, ben presto si comprese che la sua era una mente eccezionalmente dotata, tanto da spingere il nonno ad inviarlo, all’età di 10 anni, a Roma presso il Collegio dei Gesuiti, dove si dedicò con sorprendente profitto alle materie più disparate, dalla filosofia alle lingue, alla pirotecnica, alle scienza naturali, all’idrostatica e all’architettura militare.
A vent’anni il principe fece ritorno a Napoli, nel palazzo dei suoi avi, vantando un bagaglio culturale notevolmente superiore a quello posseduto dai nobili dell’epoca. Ma fece di più. Non si accontentò della teoria e passò ben presto alla pratica, dando prova di grande talento anche come sperimentatore.
Un esempio su tutti è il lume perpetuo, alimentato da una sostanza – ricavata in parte da ossa di cranio umano che, una volta accesasi, aveva continuato ad ardere ininterrottamente per più di tre mesi, senza subire alcuna diminuzione di peso.
Insomma le audaci sperimentazioni, le aspirazioni letterarie, la curiosità e l’ammirazione che era capace di suscitare presso i contemporanei, la nobiltà dei natali, il suo ruolo di Gran Maestro della Massoneria e – non ultima – la proibizione della Lettera Apologetica da parte della Chiesa, hanno fatto di Raimondo di Sangro l’emblema dei sogni di modernità della sua generazione e dello sguardo fiero a un futuro che per il principe era troppo lontano, eppure pericolosamente vicino.
Di lui si è detto tanto, “un uomo fatto a tutte le cose grandi e meravigliose”, “ celebre indagatore dei più reconditi misteri della Natura”, “ non un accademico, ma un’accademia intera”. Tutte parole che ci restituiscono la reale figura di Raimondo Di Sangro: un uomo naturalmente votato alla grandezza.
L’eredita del principe di Sansevero
Il messaggio storico-artistico, spirituale e filosofico del VII principe di Sansevero è senz’altro affidato alla nota Cappella Sansevero.
Le origini della cappella, come del resto tutto quel che riguarda il suo “ideatore”, sono avvolte – neanche a farlo apposta – nella leggenda. Si narra, infatti, che, negli ultimi anni del 1500, un uomo innocente, trascinato in catene per essere condotto al carcere, passando dinanzi al giardino del palazzo dei Di Sangro, vide crollare una parte del muro di cinta del giardino e apparire un’immagine della Madonna. Egli promise alla Vergine una lampada d’argento e un’iscrizione se fosse stata riconosciuta la sua innocenza; scarcerato, l’uomo tenne fede al voto.
Poco dopo anche il duca Giovan Francesco Di Sangro, gravemente ammalato, si rivolse alla Vergine per ottenere la guarigione; miracolato, fece innalzare, laddove era comparsa per la prima volta l’immagine della Madonna, una “piccola cappella”, denominata Santa Maria della Pietà o Pietatella.
Fu, infine, il figlio del duca a trasformare il luogo in un vero e proprio tempio votivo, destinato ad ospitare le sepolture degli antenati e dei futuri membri della figlia.
Aldilà delle sue origini leggendarie, la cappella è indissolubilmente legata al nome di Raimondo Di Sangro, che in essa diede prova dell’ ispirato genio creativo.
Fra i prodotti più suggestivi figurano le famosissime Macchine anatomiche – realizzate dal medico Giuseppe Salerno – conservate nella Cavea sotterranea.
Si tratta degli scheletri di un uomo e una donna in posizione eretta, con il sistema artero-venoso quasi perfettamente integro.
Nonostante siano trascorsi ben due secoli – eccetto la certezza che ossa e crani sono senz’altro quelli di veri scheletri umani – non sono ancora noti i procedimenti e i materiali che hanno consentito la straordinaria conservazione dell’apparato circolatorio. Numerose sono, però, le ipotesi. C’è chi ritiene che il principe abbia creato una sostanza – probabilmente a base di mercurio – che il medico avrebbe, poi, inoculato nei corpi dei cadaveri e chi, invece, ritiene che si tratti di una semplice ma impeccabile ricostruzione effettuata con vari materiali e coloranti.
Le Macchine anatomiche hanno contributo ad alimentare la cosiddetta “leggenda nera” del principe, il cui intento era certamente quello di stupire e meravigliare gli osservatori.
Il Museo Cappella Sansevero sarà raccontanto in onda su Rai2 sabato 6 febbraio ore 17:10 per Sereno Variabile.
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