“Ricottaro”: conosciamo i modi di dire napoletani
di Annina D'Ambrosio
Quante volte abbiamo letto o sentito dire il termine “ricuttar’” (ricottaro) e il modo di dire associato “fa e ricott’” (fare le ricotte)? E’ un modo di dire del dialetto napoletano molto famoso e tutt’oggi utilizzato nella lingua parlata. Ma da dove ha origine?
Innanzitutto, il termine ricottaro viene usato per indicare una persona che sta senza fare nulla, che ozia per ore e ore o addirittura per tutto il giorno; di solito, di una persona che non vuole fare nulla, che non lavora, che non cerca o non trova lavoro e che vive ancora con i genitori, si dice “si nu ricuttar’” (sei un ricottaro), il classico fannullone.
Infatti, il termine è usato in modo offensivo, è un insulto, un dispregiativo. Si usa anche per riferirsi a una persona che non vuole fare sacrifici, che vuole ottenere benefici senza troppi sforzi.
Infatti, sembrerebbe che il termine sia legato al lenocinio ossia allo sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione e, dunque, è legato alla figura del cosiddetto “protettore”; insomma colui che trae benefici a spese altrui, colui che ottiene denaro sfruttando la prostituzione, il cosiddetto mantenuto. Concettualmente, dunque, il termine ricottaro è legato alla produzione di ricotta ottenuta attraverso lo scarto della lavorazione del latte, senza sforzi o procedimenti particolarmente elaborati; ricottaro, perciò, è chi ottiene senza sacrifici, chi sfrutta il lavoro della prostituta, senza fare alcuna fatica.
Inoltre, secondo alcuni lessicografi, il termine deriverebbe piuttosto da “recòveta“, cioè la raccolta di denaro che si faceva in passato nei vicoli di Napoli per aiutare le famiglie di chi era finito in galera. Tali “raccolte”, collette, erano sollecitate da personaggi equivoci, che spesso ne approfittavano per sottrarre del denaro a chi non era in condizione di dire di no; dunque ritorna il concetto di ottenere benefici senza sforzi. Il ricottaro sarebbe, in sostanza, un guadagnatore di soldi, ottenuti senza alcuna fatica.
Ma c’è dell’altro.
Verso il finire del XIX secolo i lenoni che a Napoli venivano arrestati erano assistiti, per le spese legali del processo e in quelle del superfluo nella vita carceraria, dai “colleghi” che utilizzavano i proventi ricavati dalla prostituzione. Questa periodica colletta era chiamata, appunto, ‘a recòveta, la raccolta; fino a ricotta il passo fu assai breve e da ricotta a ricuttaro ancor di più.
“Fare la ricotta” significa oziare totalmente. Al giorno d’oggi il ricottaro è colui che offre ricotte e protezione alle signore che passano la notte attorno a un barile all’interno del quale viene solitamente acceso un fuoco. Esso si trova generalmente nelle strade di periferia che portano ad Agerola, Mondragone, Aversa o zone limitrofe.
Dire a qualcuno “si pop’ nu ricuttar’” significa offenderlo chiamandolo fannullone, un ricottaro, un fallito, uno che non fai mai nulla.
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